“Parlare e basta non serve a niente; ci sono già i preti; preferisco una chiacchierata tra amiche”
Quando ci si riferisce alla psicoterapia, sono queste le frasi più gettonate. Luoghi comuni che non hanno niente a che fare con la realtà di un percorso psicoterapeutico non interamente riconducibile alla parola e in cui si instaura un particolare tipo di relazione, diversa da quella amicale o confessionale.
La psicoterapia è un processo studiato da molti anni, al punto tale che si sono individuati con grande precisione i fattori che promuovono il cambiamento, fattori che accomunano tutte le psicoterapie (al plurale, perché esistono diversi approcci e pratiche).
Paura di cambiare?
Si sa anche per certo, ormai, che i cambiamenti raggiunti in terapia si vedono (letteralmente!) a livello cerebrale. In generale possiamo dire che c’è un passaggio da una situazione di malessere ad una di benessere, da una situazione in cui non si riesce a vivere a pieno la propria vita ad una situazione in cui ci si sente in espansione ed in realizzazione.
Quelli che si raggiungono in terapia, però, non sono cambiamenti traumatici, drastici, irreversibili, non sono cambiamenti che portano a perdere qualcosa, bensì ad aggiungere a ciò che già abbiamo. E’ fornirci di ulteriori strumenti, mettere nel nostro “kit per la sopravvivenza” altri attrezzi che ci serviranno.
Per ottenere questo risultato, spesso, bisogna poter affrontare qualcosa che difficilmente si è disposte e disposti ad accettare: la paura del cambiamento.
Come dice Arundathy Roy “cambiare è una cosa, accettare i cambiamenti è un’altra”: si può temere il fatto che niente sarà più come prima, che alcune persone o alcune relazioni potranno peggiorare, che chissà quali stravolgimenti arriveranno a minare il nostro equilibri. O, ancora, si può sentire la difficoltà ad affidarsi a qualcuno ed il desiderio di continuare a farcela da soli.
Gli strumenti della terapia
Il terapeuta non ci appiccica addosso un’etichetta, ma ci vede nei nostri Bisogni più profondi, ci sente in modo empatico e profondo, ci ascolta in modo attento e neutrale, ci fa sentire capiti perché realmente ci capisce. Con le emozioni, coi pensieri, con la pancia ci prende dentro di sé e ci accompagna allo stare bene finalmente, con noi stessi e con gli altri.
Per fare tutto questo usa degli strumenti che ha studiato e che sono riconosciuti anche scientificamente, ma usa anche strumenti propri, personali, umani.
Il terapeuta ha a disposizione test, ma anche colloqui specifici costruiti ad hoc e l’osservazione, strumento per cui ci si esercita tanto. Umanamente il maggiore strumento del/la terapeuta è se stesso / se stessa ed è questo il motivo per cui è indispensabile che abbia fatto su di sé un percorso di terapia. Solo così, infatti, potrà sfruttare a pieno la propria capacità di sentire l’altro su di sé tenendo quella giusta affettuosa distanza che gli permette di non confondersi con l’altro e la capacità di distinguere le proprie emozioni da quelle dell’altro.
Il terapeuta vede nei propri pazienti ciò che sono e non deve fare altro che lasciarli venir fuori. Un pò come Michelangelo Buonarroti, lo scultore, che diceva di vedere nel blocco di marmo l’immagine che esso già possedeva, e che il suo compito era solo di farla venir fuori.